Sorgà (anticamente denominata 'Suregada', 'Soregade/a', 'Sorgada/e') viene nominata nei manoscritti 'vico', 'villa', 'castello' e 'corte', a testimonianza della sua origine come insediamento rurale e della sua successiva fortificazione di borgata posta a presidio del fiume Tione nelle 'zona calde' del confine mantovano.
Il Comune di Sorgà, oltre al capoluogo, comprende frazioni di Pontepossero, Bonferraro e Pampuro. Tale assetto territoriale venne definito nel 1813 dalla catasticazione napoleonica.
Durante il dominio della Repubblica della Serenissima di Venezia, invece ciascuna di queste località aveva una propria configurazione politico-amministrativa ed erano separate l’una dall’altra; inoltre alle quattro località attuali si aggiungeva il distretto di Moratica, posto sul confine occidentale di Bonferraro.
Il territorio dell’attuale Comune di Sorgà comprendeva allora: il vicariato di Sorgà, feudo del monastero di Santa Maria in Organo (Verona) fino al 1571 e poi della famiglia Murari Dalla Corte; il vicariato di Pontepossero, feudo dei patrizi veneti Grimani; Bonferraro, soggetto al vicariato di Nogara; il vicariato di Moratica, feudo dell’abbazia di San Zeno (Verona) che nel Settecento venne incluso nel vicariato di Erbè; e, infine, Pampuro, incluso nel vicariato di Bigarel, territorio mantovano.
Il vicariato di Pontepossero. Il 7 maggio 1411 il N. H. Nicolò Grimani acquistò per la cifra di 12.500 ducati d’oro dal cavaliere Taddeo dal Verme il Castello di Pontepossero con giurisdizione, dazi, saltaria, decima e altri diritti con relative possessioni. I beni e i diritti, che Taddeo dal Verme aveva da poco acquistato all’asta dalla Fattoria Scaligera sono descritti, in un atto di compravendita, molto complesso ed erano condotti da famiglie di coloni che pagavano il terzo dei prodotti. Inoltre, il Grimani aveva il diritto di riscuotere le decime del territorio di Pontepossero ad eccezione di quelle spettanti al Vescovo di Verona. Il primo giorno del mese di luglio 1422 Nicolò Grimani redasse un testamento con il quale istituì un fideicommisso a favore della discendenza mascolina. Il testo di tale testamento contiene una interessante e minuziosa descrizione delle caratteristiche giuridiche del feudo di Pontepossero. Nel documento sono definiti anche i confini delle due possessioni che formavano il feudo di Pontepossero, i quali confinavano con il Comune di Erbè, con lo Stato Mantovano, con Curtalta e con il Comune di Gamandone. Tutti questi beni gravitavano sul “castello con una bastia” di Pontepossero. Alla direzione di questo ramo Grimani, detto di S. Stae, successero a Nicolò, Francesco (1452), Nicolò(1473), Francesco (1499). Con i due figli di Francesco il fuoco si divise in due rami: quello intestato a Giacomo e quello intestato a Giovanni. I due rami Grimani di S. Fosca e di S. Girolamo si divisero i beni e la giurisdizione di Pontepossero fino alla fine del Seicento, quando i beni patrimoniali del feudo si concentrarono nel ramo di S. Girolamo. L’8 giugno 1734 tutti i beni passarono a Leonardo figlio di Bortolo. Diverso fu il destino della giurisdizione e del vicariato di Pontepossero che rimasero sempre divisi tra i due rami. La tendenza dei Grimani ad espandere i possedimenti terrieri nelle aree prossime a Pontepossero continuò anche nel secolo successivo e con un altro Leonardo nel 1816 acquistò da Luigi e Gaetano Curtoni la tenuta di Curtalta. Tali acquisti e, probabilmente , una conduzione aziendale poco assennata in un periodo storico sfavorevole all’antica nobiltà terriera, portarono i Grimani a una forte esposizione debitoria che, di li a qualche anno, divenne insostenibile. Si arrivò così al 1831 quando Leonardo Grimani fu costretto a vendere al veneziano Giuseppe Cornello la tenuta di Curtalta, e alla fatidica data del 16 settembre 1846 quando, dopo 435 anni di potere della sua famiglia, egli fu costretto a vendere le amate proprietà di Pontepossero a Valentino Cornello.
Il vicariato di Sorgà. Il monastero di Santa Maria in Organo entrò in possesso dei beni di Sorgà principalmente attraverso tre donazioni che ottenne nel corso del IX secolo. La prima è inclusa nel testamento che Eugalberto, figlio di Grimoaldo da Erbè, redasse il 28 maggio 840 e la seconda nel testamento del Suddiacono Tendiberto. Infine nel 892 un certo Venerabio donò alla parrocchia di S. Maria in Organo tutto quello che possedeva di sua ragione a Sorgà. Durante il periodo della Signoria scaligera i beni e la giurisdizione di S. Maria in Organo su Sorgà vennero ripetutamente usurpati, e per questo nel 1387 l’abate del monastero supplicava i Visconti, nuovi signori di Verona, di poter rientrare in possesso dei beni arbitrariamente occupati dagli scaligeri. Proprio in quegli anni, il territorio di Sorgà venne eretto a vicariato soggetto alla giurisdizione dell’abbazia di s. Maria in Organo. I confini del vicariato erano delimitati a est dal Tartaro, a sud dal vicariato di Nogara che includeva Bonferraro, a ovest la Demorta e a nord il vicariato di Pontepossero. Il 2 agosto 1571 Federico, abate del monastero di S. Maria in Organo, vendette ai nobili Gottardo e Giacomo Murari dalla Corte il vicariato di Sorgà per il prezzo di 33.000 ducati. La famiglia Murari si era già insediata in questo territorio, con varie acquisizioni, dall’inizio del secolo. I beni e i diritti acquistati ufficialmente riconosciuti dalla Repubblica Veneta il 17 maggio 1634 con la “Prima Feudal Investitura” concessa a Gottardo e Alberto, figli di Giovanni, e a Giacomo, figlio di Raffaele, titolari dei due rami Murari della Corte, rispettivamente quello dell’Isolo di Sopra e quello di S. Pietro Incarnario. Con la morte di Giacomo nel 1656 la dinastia di S. Pietro Incarnario si estinse e i beni passarono al ramo di S. Nazaro e Celso. L’investitura rinnovativa del vicariato, nel 1768 venne concessa sia ai fratelli Francesco e Gottardo, figli di Sebastiano e residenti a S. Nazaro e Celso, che a Girolamo, figli odi Ottavio e residente all’Isolo di Sopra. Il 26 settembre 1773 Giovanni Battista, figlio di Francesco si unì in matrimonio con Vittoria Brà, figlia di Luigi e unica erede del patrimonio dei Brà di S. Fermo. I beni delle due famiglie confluirono in un unico patrimonio e i discendenti di questa stirpe, da allora, assunsero il doppio cognome di Murari dalla Corte Brà.
Bonferraro. L’antica “VADUM FERRARII” e la più vicina “MORODEGA” convissero per secoli al castello che si ergeva nell’attuale cumulo di terra tra la Strada Statale n° 10 e il fiume Tione, ora all’inizio del paese. Mappe del 1764 ci mostrano ancora come doveva essere la struttura della Rocca mentre uno scritta dice: “Comune di Morodega”. Questa parte del Comune di Sorgà, in epoca veneziana, era soggetta a tre giurisdizioni separate. Bonferraro apparteneva al vicariato di Nogara, Moratica fu prima un vicariato autonomo e poi venne inclusa in quello di Erbè, Pampuro faceva parte del vicariato mantovano di Bigarel.
Il vicariato di Moradega. All’estremità occidentale di Bonferraro sulla strada per Mantova è situato l’abitato di Moratica, dove sorgeva l’antico castello, di cui oggi non rimangono tracce. L’origine dei possedimenti del monastero di S. Zeno a Moratica va individuata nella concessione rilasciata da Lodovico il Pio nell’850. La dipendenza di Moratica dal monastero di S. Zeno di Verona venne confermata da vari diplomi regi e imperiali. Il castello di Moratica rimase in possesso dell’abbazia per poco più di cento anni e poi venne ceduto in feudo dall’abate Gerardo a Fatino degli Avvocati (1169). Il 23 giugno 1267, con il testamento di Bonifacio da Moratica il castello, con tutti i diritti ad esso spettanti passò a Bartolomeo da Palazzo. Anche se non possediamo notizie dettagliate sul feudo di Moratica per il tardo medioevo, sappiamo che il castello cadde sotto la giurisdizione del comune di Verona prima e poi dei Signori della Scala. Fu soprattutto nell’ultimo quarto del Duecento che, per assecondare la politica filo mantovana di Alberto della Scala, l’abate di S. Zeno, Pietro della Scala, concesse una sserie di investiture ai Bonacolsi e ad altri mantovani depauperando enormemente il patrimonio fondiario dell’abbazia a Moratica. Alla fine della Signoria scaligera la mensa di S. Zeno poteva contare, in questa località, solo sui diritti giurisdizionali e su quelli di decima. La decadenza politica ed economica di Moratica continuò anche nel Settecento, quando il suo vicariato fu soppresso ed essa venne assoggettata al vicariato di Erbè. Pampuro Ha una storia insolita, edificato su terreni emersi, circondato dalle valli del Tione, seguì sempre dal 1077 le sorti di Castel d’Ario, come feudo del Vescovo di Trento. Bonificati i terreni dai Bonferraresi, si trovò ancora isolato dal comune di origine e solo nel 1846 fu accorpato al comune di Sorgà.